domenica 15 febbraio 2009

Scogli

L'estate sembra durare per sempre, e sono i giorni migliori della tua vita, prima che tuo padre entri nella tua stanza ricoperto di sangue.
La sabbia si infila tra le dita dei piedi, è calda e piacevole. A volte è troppo calda e allora passi sotto qualche ombrellone affondando ben bene la pianta del piede in quella piccola zona fresca.
Quanti granelli di sabbia ci saranno in tutta la spiaggia? Domanda oziosa per una bambina ma te lo chiedevi.
Mamma sono dieci milioni? Mille biliardi?
Si, amore.
Fumando, leggendo o chiacchierando.
E tu felice, di nuovo a correre.
E quando il corridoio tra le file di ombrelloni, verso il bar, era di pietra, come diventava rovente durante il giorno!
Sarà capitato, di certo, che scivolassi su quella stupida passerella, no? L'estate sembra durare per sempre e anche i tuoi pianti.
Ancora il moccio sul viso e già sei in piedi a vedere le conchiglie, le meduse, i granchi, le alghe e ancora ad accapigliarti con qualche bambino. A sparire, senza che nessuno ti trovi.
Quando entri in acqua per la prima volta, e ogni volta prima di immergerti, tiri in dentro l'ombelico, perchè l'aria è calda e l'acqua gelida. I tuoi piedi si artigliano al fondale, melmoso e viscido, in altri punti affondano in un mucchietto d'alghe o poggiano su una conchiglia appuntita facendoti ritrarre immediatamente.
Non vai al largo, perchè ti fa paura.
Mamma dice mai dove non tocchi, meno che mai oltre gli scogli. Sono gli scogli il confine della realtà.
Al di là degli scogli, una parte di te lo sa, c'è un mondo parallelo dove niente di tutto questo sta succedendo e al contempo si.
Dove una bambina proprio come te si sta immergendo in acqua, e una mamma e un papà proprio come i tuoi stanno sulla spiaggia.
Però loro hanno una casa bellissima, e la loro storia non è proprio come la vostra.
Hanno uno specchio enorme in salotto, e voi no, e il loro salotto, pensa che buffo!, non ha pareti ed è aperto agli sguardi indiscreti della strada.
Ma non ci sono molte persone per strada, niente affatto. E' estate, è caldo, ma non c'è nessuno.
Forse perchè non è una strada, ma acqua; il loro salotto da direttamente sul mare.
Come venezia forse? Non ci sei mai stata.
Continui a galleggiare appesa ai braccioli e getti un'occhiata al di là degli scogli, ma naturalmente non si vede nulla. La loro casa è nascosta.
In agguato.
Ancora. Tu sai che nel loro grande specchio non ti rifletteresti. Questo nel sogno non c'era però lo sai. Non è appeso al muro lo specchio, come quelli normali, e nemmeno dentro un armadio, come i vostri, ma è sospeso in mezzo alla stanza.
Non proprio in mezzo, in realtà, ma a lato, in modo che rimanga un po' di spazio tra di esso e il muro; spazio per chi? Per cosa?
C'è davvero qualcosauno dietro lo specchio?
Qualcosa, qualcuno, qualcunosa.
Qualcuno osa entrare in quella casa dal mare, arriva a nuoto e poggia una mano poi l'altra al pavimento di moquette rossa del salotto aperto, lasciando subito due impronte scure.
C'è una bambina proprio come te seduta su una bella poltrona, e sorride.
Ciao – dice.
Anche qualcunosa sorride, perchè è stanco di nuotare e gradirebbe molto qualcosa da bere.
Che buffo! In mezzo a tutta quell'acqua.
Non sai perchè adesso qualcunosa sia dietro lo specchio, né cosa debba fare lì.
La bambina come te sorride ancora.
Abbassi lo sguardo nell'acqua per cercare di vedere qualcosa in trasparenza, magari un paguro, ma non si vede nulla, l'acqua è torbida.
Sei sicura che anche l'acqua che beve la famiglia dietro gli scogli sia torbida in realtà, solo che a vedersi pare proprio limpida e freschissima. Ma è malsana, è paludosa.
Forse dentro al bicchiere ci sono piccoli animali che nuotano, e ogni tanto qualcuno di loro urta il vetro del bicchiere, però quando qualcunosa ci guarda dentro incuriosito vede solo il ghiaccio e si stringe nelle spalle.
Mamma ti chiama dalla riva, ti dice di tornare che altrimenti ti vengono le gruggiole alle dita.
Stai troppo in acqua e la pelle si raggrinzisce, come quella di un cadavere vecchio.
Soprattutto nei bambini succede, e se non si dovesse tornare normali mai più?
E invece naturalmente si torna normali, si esce dall'acqua, ci si asciuga e si fa merenda con gli altri bambini.
Quelli invece, quelli dall'altra parte, hanno sempre le gruggiole, tutto il tempo.
Non si nota di solito, perchè nessuno va a vedere le dita delle mani o dei piedi della gente, ma loro le hanno.
La bambina, quella che sembra esattamente uguale a te, anche lei ha la pelle grinzosa. Sorride nel tuo stesso modo, come te allo specchio, solo che lei non ha i denti da latte ma già quelli definitivi e per la sua bocca sono così grossi.
La vedi per un momento quando ti guardi allo specchio, nella frazione di secondo in cui il tuo riflesso non ti obbedisce, non fa esattamente quello che fai tu: allora è lei.
Magari ti fa una linguaccia, o l'occhiolino, o sorride con quei denti grandi.
Forse nemmeno lei si rifletterebbe nel tuo specchio, così come tu sai che non ti rifletteresti nel suo.
Un'altra cosa che sai è che anche i suoi occhi sono un po' diversi dai tuoi, ma certo di poco come tutto il resto; così poco che si nota appena, però i suoi occhi ti fanno pensare a un gatto.
Voi a casa avete un gatto, e anche quelli dall'altra parte, anche se non l'hai mai visto perchè non viene quasi mai in salotto.
Forse qualcunosa lo ha visto, è rimasto in salotto più a lungo di te e anzi è ancora dietro lo specchio.
Di sera dal terrazzo di casa guardi verso il mare, cercando di scorgere la casa o almeno una luce, sperando di vedere almeno per un secondo la bambina come te, ma le luci sono troppo lontane.
Papà dice che sono le piattaforme al largo.
E' così infatti, casa loro sta nascosta subito sotto gli scogli, in modo che nessuno la veda.
Chissà se qualcunosa ha paura a stare lì di notte, dietro lo specchio nel salotto aperto sul mare.
Perchè non lo faranno andare via?
Mamma e papà ti mettono a letto, perchè è ora di dormire, ma tu sai che la bambina invece non ha orari e un po' la invidi.
Al mattino tua madre si alza presto, anche se siete in vacanza, e ti svegli anche tu sentendo i rumori in cucina. Vuoi riaddormentarti, certo, quindi rimani nel letto ancora un po', ascoltando i versi dei gabbiani.
Solo che non sono proprio i gabbiani, è qualcunosa che grida.
Cosa vedresti se guardassi nel loro specchio? Vedresti qualcunosa? Cosa rimane di chi ha osato?
O vedresti l'altra bambina, quella come te?
Un altro gabbiano grida e poi silenzio, ti riaddormenti. Di qualcunosa non rimane più nulla.
Fai almeno due bagni in mare ogni giorno, uno al mattino e uno al pomeriggio e poi se qualcun altro vuol giocare con te anche di più.
Il bambino dell'ombrellone in terza fila ha un canotto gigante, ti ha chiesto se vuoi andare agli scogli con lui, ma tu hai detto di no anche se avresti davvero voluto salire su quel canotto con i remi.
Hai detto di no perchè dietro lo specchio ormai non c'è nessuno, solo un odore strano e un posto vuoto e la casa della bambina come te è nascosta, in agguato.
La bambina come te è ancora seduta nella poltrona, non è in costume anche se la sua casa da sul mare, ma indossa un vestito elegante di velluto blu, da compleanno. Ha le calze bianche e tiene le gambe incrociate, è seduta lì a sorridere e aspettarti.
Per mangiarti.
L'estate sembra durare per sempre ma finisce e ogni volta è incredibile, quanto sembri lungo un mese ma solo a parole.
Ma hai qualche giocattolo nuovo e l'odore di sale tra i capelli, delle conchiglie e qualche granello di sabbia tra i vestiti, e tante storie da raccontare a scuola.
Stai facendo lo zaino per scuola in camera tua ed è allora che tuo padre entra, ma non è ricoperto di sangue, ne ha solo un po' sul braccio.
Lì dove la bambina lo ha morso, staccandogli un pezzo di carne.
La bambina proprio come te.
Tuo padre è fermo davanti allo specchio e ti guarda. Tu guardi nello specchio, e lì non c'è nessuno.

domenica 15 giugno 2008

Andrea è anche un nome da femmina.

"E poi dovrai fare il test. Tutti devono fare il test. Noi diamo delle garanzie a chi lavora con noi, spero che sia chiaro."
"Certo certo. Niente da temere da parte mia."
L'uomo dietro la scrivania alzò un sopracciglio, ma senza troppa convinzione.
"Sono felice per te, ma lascia che facciamo qualche controllo." rispose distrattamente.
"Chiaro."
L'uomo stava esaminando fotografie di uomini che esponevano all'obiettivo il membro eretto. Cosa alquanto imbarazzante, smise di sfogliarle proprio su quello che sarebbe stato il suo partner, un omaccio peloso che esibiva uno sguardo che voleva essere sbarazzino.
Le tese la mano dall'altra parte del tavolo, alzandosi in piedi: "Allora ci sentiamo la prossima settimana. La mia segretaria ti farà sapere appena possibile quando potrai andare a fare gli esami del sangue e la visita."
"Arrivederci."
Andrea strinse la mano sudaticcia del tipo e si voltò verso la porta, sperando ardentemente che lui le stesse guardando il sedere.
Si chiuse la porta alle spalle, e in corridoio c'era ancora Alex ad aspettarla.
"Allora Andrea, tutto ok?"
Andrea non rispose. Non era sicura che le facesse piacere che lui fosse rimasto. Forse avrebbe preferito gironzolare ancora un po' per l'edificio, curiosare e conoscere qualcuno che ci lavorasse; poi la sera, a casa, telefonare ad Alex e raccontargli tutto.
"Perché sei rimasto?", gli chiese. "Ti avevo detto che ci sarebbe voluto un po' di tempo."
Si pentì subito di averlo detto, si vedeva che lui ci era rimasto male.
"Mi faceva piacere sapere come era andata. Tutto qui."
Come sempre quando qualcosa non andava, Alex si guardava le scarpe.
"Scusa. Scusami davvero, è che mi hanno detto che devo fare degli esami del sangue e lo sai che ho paura degli aghi."
"Non devi preoccuparti! Ti posso accompagnare, se vuoi.", si rianimò Alex, per poi tornare timido nell'offrire il suo aiuto.
Andrea scrollò le spalle. " Vedremo, vedremo. Ora andiamo a casa? Ho un po' fame. Comunque è andata bene, sai, hanno detto che non hanno mai lavorato con una come me."
"Mai?"
"Mai mai! Non è una figata?"
Alex assentì, e si lasciò condurre lungo il corridoio verso gli ascensori, gettando qualche occhiata distratta alle locandine dei film della StarProduzioni appese al muro.
Arrivati agli ascensori schiacciò cerimoniosamente il pulsante di chiamata, facendo sorridere Andrea. Non desiderava altro, nella vita.
Aspettando l'ascensore fissarono insieme l'enorme locandina di Labbra piene, poi finalmente le porte si aprirono sulla cabina vuota.

"Grazie mille del passaggio, tesoro, lo sai che mi fa piacere. Se vuoi entra.", si sentì in dovere di aggiungere Andrea.
"Magari giusto una birra, ok?", le rispose Alex tutto contento, spegnendo il motore dell'Audi.
"Come no!"
Andrea fece un cenno di saluto al custode nel suo gabbiotto, poi proseguirono sul curatissimo sentierino circondato da piante fiorite (sostituite ogni stagione), fino al portone di ingresso.
Un palazzo moderno circondato da un giardino lussureggiante. Ad Alex ricordava un libro della sua infanzia, e la casa sembrava un'enorme serra, tutta a vetri.
Quando aveva visto l'edificio per la prima volta ne era rimasto incantato, anche se Andrea gli aveva detto che da bambino viveva addirittura in una villa.
Notò che faticava a salire i due gradini precedenti la vetrata del portone.
"Ti fa ancora male?"
Andrea si girò verso di lui, solo leggermente indispettita. "No. Nient'affatto."
Nient'affatto. Andrea non era nient'affatto il tipo di persona in cerca di compassione, da nessuno. Gli aveva raccontato tutta la storia e quando Alex aveva voluto abbracciarla lei gli aveva riso in faccia. "Credi che sarei arrivata fin qui se avessi avuto troppa gente ad abbracciarmi?", gli aveva detto. Ad Alex sembrava una cosa davvero triste da dire, proprio brutta, ma lei non sembrava pensarla così.
L'usciere, che vedevano all'interno parlare con una signora piuttosto seccata, finalmente si accorse di loro e si affrettò a venire ad aprire il portone.
Andrea gli rivolse un sorriso e si incamminò agli ascensori, mentre la signora borbottava qualcosa fingendo di non vederla e guardando invece l'usciere in cagnesco, come a dire "cosa le dicevo?".
Un altro ascensore, questa volta per salire, all'ultimo piano dove stava l'attico di Andrea.
Lei si era preparata la chiave in ascensore e percorse in fretta il pianerottolo moquettato fino ad andare ad aprire la porta di ingresso. Alex invece si incantava ogni volta a guardare la vista della città dalle vetrate del palazzo, tra le cime degli alberi più alti del giardino.
Si girò poi sorridendo verso Andrea, che lo aspettava pazientemente sulla porta, "Scusa, lo sai che non sono abituato a una vista così a casa mia."
Lei sorrise a sua volta facendolo entrare, "Una birra hai detto?"
"Come no.", rispose lui mentre già Andrea si dirigeva in cucina passando sotto l'enorme ed inquietante ritratto del padre.
Ad Alex quell'uomo incuteva un sacro terrore, ma non c'era nemmeno da ringraziare il cielo che fosse morto visto che quel ritratto sembrava venire dall'oltretomba a perseguitarti perché eri stato un bambino cattivo, se non cattivissimo.
Con circospezione si diresse in sala, dove si lasciò cadere sul divano di fronte alla vetrata panoramica, proprio mentre compariva Andrea con una birra per mano.
"Brindiamo a te, allora.", le disse.
Le bottiglie verdi si toccarono.

Il padre di Andrea si chiamava anche lui Andrea, solo era molto più famoso (almeno fino a quel momento).
Il conduttore di tutti i programmi del pomeriggio delle reti di intrattenimento dal 1982 al 2004, per servirvi.
Prima di divenire il volto principale della quarta rete aveva recitato in qualche spot e tirato a campare, sposato con una ragazza rotondetta originaria del suo stesso paese marchigiano e trasferitasi con lui a Milano.
D'improvviso la coppietta della domenica si era ritrovati puntati addosso un bel po' di riflettori, per non parlare degli anni '90 e della moda del gossip.
Ma si sa, la vita è fatta a scale, e così anche la carriera dell'uomo più amato dalle casalinghe d'Italia ebbe qualche sobbalzo. Nell'arco basso di uno di questi balzi, venne proposto ad Andrea di condurre un programma per ragazzi, con veri ragazzi ospiti in studio.
Non poté rifiutare, come gli fece presente il suo agente. Non gli piacevano i ragazzini, e lui e sua moglie Lisetta non avevano figli. Ad entrambi piaceva la vita che si erano trovati in grado di condurre negli anni '80 e non avevano bisogno di altro.
Nonostante tutto, per le ragioni espostegli pazientemente dal suo agente, si ritrovò un pomeriggio a settimana a parlare con un branco di scimmiette urlanti.
Ogni tanto però partecipava al programma anche qualche scuola media, e il presentatore applaudito dalle mamme non perdeva l'occasione di dare una sbirciata all'evoluzione ormonale delle scimmiette femmine.
Lo aveva naturalmente fatto anche con la fortunata vincitrice del trofeo del programma 1986, una trecciuta ragazzina di terza media, che era stata tanto felice della fascia, della coppa e dei premi messi in palio dagli sponsor da voler andare a ringraziare Andrea Sorriso nel suo camerino.
Era stato allora che Andrea aveva creduto che un dio televisivo come lui avrebbe potuto fare qualunque cosa, qualunque, senza conseguenze di alcun tipo. E aveva chiuso a chiave la porta, mentre la campionessa curiosava tra i trucchi di scena.
Qualche mese dopo però aveva dovuto ricredersi, a una telefonata piuttosto minacciosa del padre della campionessa, la quale sembrava soffrire di nausee frequenti, dolori addominali, aumento di peso e addome teso, nonché completa assenza del ciclo mestruale dopo solo un paio di mesi dal menarca. Non è che lui ne sapeva qualcosa?
Si era resa urgente una riunione familiare.
Lisetta, dapprima contrariata, aveva poi ceduto all'istinto materno in cambio di un'auto nuova.
La famiglia di fortunati vincitori di una fornitura annuale di caramelle mou aveva anch'essa ceduto il fagotto dello scandalo, in cambio di più auto nuove e un cospicuo assegno.
I rotocalchi e le televisioni di tutto il paese erano sommersi di servizi sulla famiglia Sorriso, dove la cicogna (trecciuta) aveva appena depositato il piccolo Andrea jr.
Un bambino felice, come poteva non esserlo? I suoi genitori gli compravano qualunque cosa desiderasse, la baby sitter del giorno era disponibile ad ogni cosa.
Le tate indossavano una divisa quando si occupavano di lui, un vestito azzurro con grembiule bianco. Non era niente di speciale ma la tata del sabato, una signora un po' avanti con gli anni, indossava sotto il vestito una sottogonna di pizzo bianco.
Andrea adorava quella sottogonna.
Era un bambino tranquillo, mai dato problemi. Lisetta si vantava con le amiche del suo pargolo, bambino buono, intelligente, e anche simpatico.
C'erano su questo aneddoti a non finire, ma alla moglie dell'uomo della quarta rete piaceva tanto raccontare di come Andrea jr. arrossisse nel far presente che "Andrea è anche un nome da femmina, non lo sai mamma?".
Suo padre lo sgridava a volte, "Pensi che io abbia un nome da donna?!", ma Lisetta lo adorava.
La malattia di Lisetta aveva pian piano spento le sue risate divertite di fronte al bambino.
Era morta in casa, macché ospedali e ospedali. Negli ultimi giorni era delirante, ma aveva comunque a tutti i costi voluto ricevere una visita, anche se suo marito era fuori per lavoro.
Era una ragazza, Andrea se la ricordava bene, con un bellissimo zaino a fiori. Era appena uscita da scuola, aveva detto alla sua mamma, e doveva tornare a casa in fretta perché i suoi genitori non sapevano che fosse lì.
Aveva guardato Andrea come se ne avesse paura.
Lei e sua mamma parlavano in salotto, o meglio parlava Lisetta perché la ragazza stava a occhi bassi e non diceva quasi nulla, aveva notato Andrea nascosto dietro lo stipite.
Improvvisamente Lisetta lo aveva visto e chiamato perché entrasse nella stanza.
Gli aveva sorriso, mentre la ragazza la guardava incerta.
"Lei è la tua mamma, Andrea caro."
Sulle prime Andrea non aveva capito. Anche la ragazza sembrava fosse ipnotizzata, come nello spettacolo di quel mago per tv. Poi aveva preso un gran respiro e aveva cominciato a piangere e urlare, per poi scappare via.
Lisetta le era corsa dietro.
Andrea era rimasto seduto sul tappeto fino a sera.
La settimana seguente c'era stato il funerale.

"Allora io vado via, ok?"
"Certo, come vuoi." , gli rispose Andrea dal divano, facendo un gesto di saluto con la mano.
"Ma sei sicura di star bene?"
"Mi fa male ogni tanto, tutto qui. Vuoi stare tranquillo? Quest'operazione l'aspettavo da tutta la vita, non è un granché se brucia un po' a fare pipì."
Alex avrebbe voluto rimanere ancora, come aveva fatto subito dopo l'operazione, quando era rimasto sempre con lei. Prendeva gli ormoni da un sacco di tempo ormai, aveva un accenno di seno e un volto terribilmente femminile e affascinante, e oggettivamente in questo il suo aspetto non era cambiato dopo l'operazione; ma quando l'aveva vista uscire dalla sala operatoria aveva pensato che non fosse più solo una questione fisica, quella volta era cambiato tutto.
Ed era così, in effetti.
Rassegnato, Alex la salutò e se ne tornò alla macchina dopo una pausa sul pianerottolo ad ammirare la città e le sue luci ormai accese.
Andrea si alzò dal divano, diretta in camera da letto. Il suo sguardo venne catturato dal ritratto del padre, e questa volta non glielo impedì.
Fissò il vecchio negli occhi.
Rimpianse per un momento che fosse morto e non potesse vederla ora, rimpianse che finché era in vita avesse avuto l'ultima parola con lei, intimandole di smetterla con le sue "frocerie".
Una parola che nemmeno esiste.
Un sorriso amaro le increspò le labbra, e in quel momento desiderò poter riportare in vita i morti per far assistere suo padre al suo trionfo, o anche solo mandargli la cassetta quando fosse uscita.
"Le mie frocerie.", pensò. "Proprio adesso che sto per essere una donna vera..Di certo molto più donna di quanto non fosse mia madre."
Poggiò la birra sull'antica libreria dell'ingresso, e ‘fanculo il sottobicchiere.
Deviò dalla camera da letto e andò invece ad aprire l'acqua della vasca perché si riscaldasse.

In auto Alex mise in moto lanciando un'ultima occhiata alle finestre illuminate di Andrea, o almeno credeva fossero quelle. Il vetro gioca brutti scherzi.
Sospirò e lasciò che la macchina scendesse in folle dalla lieve collinetta su cui si trovava lo stabile.
Avrebbe tanto voluto essere lui a rendere Andrea ciò che voleva, una donna vera, lui che l'amava tanto. E lei lo sapeva, ma aveva fatto la sua scelta; aveva scelto di concedere la sua nuova verginità alla StarProduzioni.
Andrea non era una stupida, e di certo aveva un buon motivo, ma Alex non poté fare a meno di domandarsi ancora una volta a chi dovesse dimostrare tanto.
Lo sanno tutti che Andrea è anche un nome da femmina.

sabato 31 maggio 2008

21 feb 2007. Manifesto dell'indifferenza.


Sarà una notte buia e tempestosa? Probabilmente no. La vostra manualità politica non conta affatto.
Un tempo, non tanto lontano, ma abbastanza perché io non fossi ancora nata e queste parole nemmeno pensiero, questo schermo solo un sogno;un tempo allora, questa notte si sarebbero tenuti conciliaboli massonici in cucine e tinelli.
Incontri a passo leggero nelle piazze, all’ombra di fontane imponenti che oscurano la luna, a porte chiuse nelle osterie.
Non certo la notte di Guy Fawkes, non certo la notte di Natale.
Qualcuno avrebbe brindato, altri scosso la testa rassegnati. Cos’avrei fatto io?
Non ho mai visto un governo cadere, non con occhio cosciente, sono convinta che il botto si sentirà a distanza di tempo. O forse sbaglio e sarà istantaneo come una fotografia, sarà l’eco di una suola su un palco agghindato.
Ma non è questo il punto. Il punto è
L’incontro. La telefonata. Il campanello.
No invece, perché c’è la partita di basket, il maglione da finire, il libro, il cinema, la moda, la discoteca, i capelli, l’idromassaggio, il tradimento, il rossetto, la camicia, il concerto…
Non mi chiedo perché un governo sia imploso o perché la democrazia sia così nuova e desueta insieme. Mi chiedo dove sono quelle persone che se lo chiedevano, se capite.
E’ tutto condensato in una fotografia di qualche decennio fa,o anche solo nelle parole di una madre.
Nessuno esce, nessuno parla, io per prima. Di cosa potrei parlare? E’ come un papa, se ne farà un altro. Quando non se ne farà, allora si che potremo urlare. Ma ora?
Ora sembra che a nessuno importi, fuorché i diretti interessati naturalmente; a loro importa sempre. Strani meccanismi la vita.
E’ un ciclo, è prevedibile e soprattutto inevitabile. Nel bene e nel male, nessuno distruggerà quell’ingranaggio per sempre destinato a girare, fino alla nausea.
Quindi perché preoccuparsi e chiedersi che ne sarà? Non ce n’è alcun bisogno, perché noi non facciamo la differenza.
Qualcuno pedala e fa girare l’ingranaggio, ma forse è un’illusione e la ruota dentellata si muoverebbe anche se nessuno lo facesse, solo che abbiamo paura di provare; qualcuno rimane schiacciato nel veloce ingranaggio e noi (io) stiamo a guardare.
Non abbiamo il potere di fare la differenza, e questo ci ha tolto un bel po’ di preoccupazioni a dir la verità. Quand’anche marciassimo compatti contro ciò che non vogliamo ci diranno che è molto bello, molto nobile, da parte nostra ma che le istituzioni sole hanno potere di decidere.
Le istituzioni al nostro servizio, che si ribellano come tanti mostri del professor Frankenstein, e per gli stessi motivi forse: l’incuria, la crudeltà, l’indifferenza.
Indifferenza. Ma che altro ci rimane? Abbiamo cambiato tutto per non cambiare niente, con tutti gli echi del Gattopardo e delle lacrime di madri palestinesi, iraqene, israeliane, americane, francesi…come se avessero anch’esse un confine.
Mi chiedo dove siano quelle persone che credevano di poter fare qualcosa. Non sono scomparse, ci sono, a dare volantini agli angoli delle strade.
Eppure non faccio parte di quella schiera, non sono di quella parrocchia, come si dice. Fieramente, devo purtroppo aggiungere.
Nulla è impossibile, neppure volare. Se uno di quegli aggeggi può stare lassù con buona pace dei paranoici, che sarà mai per noi cambiare qualcosa?
L’indifferenza ci (mi) è calata addosso quando abbiamo visto quei mastodontici ingranaggi economici girare. Lasciate stare la politica, è tutto denaro. Volete scendere in piazza a bruciarlo? Diavolo, no, meglio usarlo per sniffare cocaina. Nulla invece contro chi brucia reggiseni sportivi, a coppa o con ferretto.
Tutti quei soldi a pagare qualcuno non possono essere fermati, ci diciamo, le bombe ideologiche non esistono, e se esistessero le fermeremmo. Ma le bombe di soldi, quelle no.
In verità un modo esiste, se un aereo può volare e la terra girare felicemente su se stessa. Se abbiamo potuto distruggere un pianeta.
A che serve accendere una candela alla finestra o sfilare sotto una bandiera? Forse solo perché qualcuno si faccia due risate. Qualcuno come quelli che in una notte come questa saltellano come bambini, inventando battute e slogan, perché è solo l’ennesima rivincita, non certo una crisi.
Le persone a cui non importa. Cioè tutti? Siamo indifferenti e soli.
O magari no? Chi potrebbe resistere a una folla seduta? Un paese immobile? Se tutti incrociassero le braccia, tutti. Cosa non potremmo fare solo stando fermi?
Non che non ci importi, ma non ce ne importa abbastanza da pensare a questo. Perché siamo programmati con un modello e non concepiamo vita al di fuori di esso.
La necessità di non cambiare modello ci spinge all’apatia e all’indifferenza. Manifesto.

lunedì 31 marzo 2008

Succo di mora

Un fruscio.
Katarina si girò di scatto.
Silenzio.
Riprese a camminare, tenendo gli occhi bene aperti per le more o altri frutti di bosco. A Tobey avrebbero fatto piacere.
Un altro. Fruscio.
Per lo spavento lasciò cadere il cestino con i frutti, uno dei quali si spappolò giusto al centro della gonna bianca. Sua madre l’avrebbe uccisa. E per cosa, poi? Una qualche sottospecie di topo selvatico?
Maledizione. Si, anche se imprecare era vietatissimo, maledizione.
Raccolse il cestino e si avviò nuovamente nel sottobosco.
Succo di mora su una foglia. Mora spappolata. Ridacchiò, intingendo l’indice nelle goccioline di succo e portandoselo alle labbra.
Mora.
Succo di mora.
Mora.
Succo. Tanto succo. Troppo?
Rise dimentica di tramonti e vestiti macchiati, di suo fratello e di sua madre, dimentica di suo padre vecchio e saggio (e sordo e zoppo). Rise e intinse ancora il dito.
Senza guardare lo intinse nella carotide squarciata di una bambina, la cui veste bianca era diventata ormai rossa.
I grandi occhi scuri di Katarina si dilatarono e lei prese a tremare, sempre suggendosi il dito rosso.
Poi si riscosse e si girò, diretta a casa nella luce del tramonto.
Aveva sporcato la sua veste bianca, e la stoffa era molto rara. Ogni ragazza sa che c’è sempre una punizione.